E adesso che facciamo?

E adesso che facciamo?

(Italia settentrionale, oggi)

La società industriale ha ormai delocalizzato da anni la produzione, spostandosi in paesi dove il costo del lavoro è più basso e agevola la competizione internazionale.

Qui, dove un tempo sorgevano gli opifici densi di fervente attività e lavoro industrioso, non restano che fabbricati deserti, ruderi di un’epoca che pareva infinita e invece è cambiata in un amen.

Bisogna pur farne qualcosa di quest’area! propongono i soci, che pregustano un interessante introito anche per rientrare rapidamente degli investimenti esteri.  E subito si rivolgono al progettista, più o meno di grido, che sulla carta o al pc traccia una meravigliosa reinterpretazione del complesso, una “resurrezione” di forme, linee e colori che dona nuova vita alla landa ormai abbandonata.

Quando giungono da noi, i soci stanno ormai vagando da qualche anno in cerca di un promotore immobiliare che rilevi l’area e la sviluppi secondo il progetto, di cui è già stato avviato l’iter urbanistico, talvolta perfino approvato.  Ma invano.

Non è solo la crisi. Questa identica scena l’avevamo già vista negli anni ’90, e pure all’inizio del nuovo millennio, quando il mercato pompava alla grande e avere un’area fabbricabile era come stare seduti su una miniera di diamanti.  E’ mancanza di programmazione, di analisi: l’esperto ha tracciato un progetto magnifico e consono alle norme urbanistiche (ci mancherebbe altro!), ma di fatto impraticabile.  I costi sono esorbitanti, le destinazioni d’uso non sono quelle richieste dal mercato, le caratteristiche degli immobili non sono in linea con le esigenze della domanda…  E’ come se una casa automobilistica avesse progettato un nuovo veicolo senza alcuna indagine di mercato, senza osservare né i clienti, né la concorrenza, seguendo solo un’ipotesi di linee, forme, design.  Sappiamo bene che il mondo industriale non si comporta così, ma spesso lo fa il mondo immobiliare.

Allora spieghiamo ai soci, scoraggiati da anni di costi e di vane proposte, che ci vorrebbe un’analisi del mercato, un piano di fattibilità economico/finanziaria, una ridefinizione progettuale che andasse verso le richieste della domanda potenziale…  Parole enormi, per loro, che sembrano viaggiare al di sopra del loro comprendere.

“Scusate, prima di decidere i vostri investimenti esteri non avete forse fatto un piano industriale, con previsioni di costi e ricavi?”

“Ovvio, ma questa è un’altra cosa.  E’ solo un terreno, basta andare dal progettista!”

E dopo che hanno speso cifre importanti per quel meraviglioso progetto, rinunciano a investire quelle poche migliaia di Euro che forse potrebbero far loro comprendere come riallineare il loro “sogno” alla realtà del mercato, come rendere il complesso davvero vendibile.

“Se avete un acquirente, presentatecelo e vi pagheremo la provvigione. Ma spendere altri soldi, basta!”

E così se ne vanno, l’amarezza non stempera un certo sussieguo, tenendo sotto il braccio il loro rutilante fascicolo multicolore, redatto dall’archistar o poco meno…  Loro vanno, ma l’area rimane: passano i mesi, gli anni, forse proseguono i loro pellegrinacci vani, e sui fabbricati dismessi l’unica cosa che sta continuando a crescere sono i rovi e le erbacce.

La rivincita di madre natura!